Il processo drammaturgico parte dall’etimologia del nome Penelope, anatraccola, con esplicito riferimento a quell’episodio dell’infanzia del personaggio secondo cui la futura moglie di Ulisse fu vittima di un tentativo di affogamento da parte del padre. In uno spazio chiuso, asettico, come un laboratorio di analisi, mettiamo sotto il microscopio l’iconica storia di Penelope, cerchiamo di restituire alla figura universale del mito il suo sguardo negato, quello della donna che l’ha subito-vissuto, riconoscendole così una funzione attiva nella narrazione della sua vita. La nostra P, bloccata in questo spazio, itera il suo fare e disfare la scena - come la Penelope omerica faceva e disfaceva la tela –ripercorre la sua esistenza segnata dal rapporto con il padre, trascorsa aspettando un uomo che non è mai tornato, interrotta per un figlio che, una volta cresciuto, ha scelto di non aspettare e di partire. In una sorta di confronto tra le triadi dei ruoli maschili e femminili: padre, marito, figlio e madre, moglie, figlia. La chiave ironica con cui affrontiamo queste tematiche universali, riporta immediatamente l’indagine intorno al mito al nostro vivere contemporaneo, restituendoci un’educazione sentimentale al femminile che vuole mettere al centro la ricerca della felicità.
Premio Nazionale Franco Enriquez 2024 a Paola Fresa come miglior Attrice e Autrice nella categoria Teatro Classico e Contemporaneo.
Di e con Paola Fresa
In collaborazione con Christian Di Domenico
Supervisione registica Emiliano Bronzino
Scene e costumi Federica Parolini
Luci Paolo Casati
Regista assistente Ornella Matranga
Produzione Accademia Perduta-Romagna Teatri & Fondazione TRG di Torino